venerdì 23 maggio 2014
domenica 9 marzo 2014
sabato 8 marzo 2014
venerdì 28 febbraio 2014
Théodore Géricault
Caricato in data 21/dic/2010
Jean-Louis André Théodore Géricault, conocido como Théodore Géricault (Ruán, Francia, 26 de septiembre de 1791 - París, 26 de enero de 1824), fue un pintor francés. Prototipo de artista romántico, tuvo una vida corta y atormentada que dio lugar a varios mitos sobre él.
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Jacques-Louis David Opere tra le più importanti dal 1769 al 1824
Ciao a tutti ho realizzato un nuovo video dedicato a uno dei più grandi artisti della storia dell'Arte Francese Jacques-Louis David (Parigi, 30 agosto 1748 – Bruxelles, 29 dicembre 1825)
Dopo una formazione compiuta in ambito tradizionale, ancora seguendo il gusto rococò, ottenne l'ambitissimo Prix de Rome che, nel 1775, gli permise di raggiungere l'Italia. Il quinquennale soggiorno romano fu per lui un periodo tormentato e difficile, poco soddisfacente dal punto di vista della produzione eppure ricco di esperienze fondamentali, come la scoperta dell'arte italiana (non solo l'antico, ma anche Michelangelo, Raffaello e Caravaggio) e, verosimilmente, la conoscenza degli scritti di Winckelmann, Mengs e altri teorici del Neoclassicismo.
Ciao Buona visione a tutti
da LORETO PINOARTE
Dopo una formazione compiuta in ambito tradizionale, ancora seguendo il gusto rococò, ottenne l'ambitissimo Prix de Rome che, nel 1775, gli permise di raggiungere l'Italia. Il quinquennale soggiorno romano fu per lui un periodo tormentato e difficile, poco soddisfacente dal punto di vista della produzione eppure ricco di esperienze fondamentali, come la scoperta dell'arte italiana (non solo l'antico, ma anche Michelangelo, Raffaello e Caravaggio) e, verosimilmente, la conoscenza degli scritti di Winckelmann, Mengs e altri teorici del Neoclassicismo.
Ciao Buona visione a tutti
da LORETO PINOARTE
mercoledì 26 febbraio 2014
mercoledì 19 febbraio 2014
20140219 SCACCO AL RE DI A.R. CARRABBA
Scacco al Re
Era il tramonto del primo agosto 1998: il
riverbero, di quel cielo e di quel mare di porpora sulle mura del castello di
Pizzo, sembrava vi rispecchiasse le tinte del tragico evento in cui, il 13
ottobre 1815, la viltà umana spegneva la vita e i sogni de «il più infelice dei
sovrani», Gioacchino Murat [1].
Tra quelle mura, in quell’atmosfera
agostana, veniva presentata e commentata l’opera Scacco al Re di Giampiero
Nisticò, uomo dei sogni come il protagonista del dramma storico, qui composto
in forma teatrale, severamente aderente ai fatti storici.
Sulla scia della tradizione letteraria
manzoniana, l’Autore si ispira alla storia, al tragico evento del Murat nel
tentativo di riconquistare il Regno di Napoli, da cui estendersi verso la
realizzazione di quel sogno d’un regno italico unito e indipendente, come da
Proclama di Rimini 30 marzo 1815 e, ancor prima, nel Proclama Reale, dal primo
agosto 1808 a
Napoli sul trono di quella «nazione (…) per ripristinare quell’antica gloria
(…) la grandezza e la prosperità della patria nostra»[2].
Come per la vicenda del Machiavelli, nell’Intervista, così è l’amore per la
verità storica e per il debito di giustizia a ispirare Nisticò, coinvolgendone
cuore e intelletto, quest’opera; l’ultima, dettata forse da inconscio
presentimento (o segreta, dolorosa consapevolezza?) dell’approssimarsi della
prematura fine del suo tempo, con i sogni ivi accarezzati, al pari del
protagonista di questo dramma.
L’opera è costituita da tre atti, con
relative quattro scene e, ovviamente, da personaggi.
Il primo atto
ha una sola scena, una località nella Corsica occidentale, alla periferia di
Aiaccio. Delle altre tre scene, che coprono il secondo e il terzo atto, in
terra di Calabria, una presenta Pizzo, con la marina, un piccolo centro coi
suoi vicoli e la Parrera.
Le ultime due
scene si estendono per l’intero terzo atto e avvengono entro le mura del
castello, che da quel tragico evento diventa noto come “castello Murat”.
I personaggi:
dei quattordici, soltanto uno è inventato dalla poetica fantasia dell’Autore,
Paloma, nella duplice veste di una fanciulla zingara e di una nera signora.
Degli altri tredici, veri, otto sono storicamente noti; i restanti cinque sono
popolani, anonimi.
Dialoghi
s’intrecciano tra loro e tra loro e il Murat, inframmezzati da soliloqui
meditativi, durante i quali scorrono nella sua mente ricordi e immagini di
luoghi e di avvenimenti: dai prati vicino Cahors durante l’infanzia, ai campi
di battaglia nelle regioni d’Europa e d’Egitto; soliloqui del Murat che si
trasformano in dialoghi con le voci fuori scena, singole e corali che,
differentemente dai cori dei drammi manzoniani e delle tragedie greche,
esprimono sentimenti e passioni, dell’orgoglio e del risentimento, del rimorso
e del tormento: ha combattuto dall’età di venticinque anni, fianco a fianco a Napoleone, spianandogli, con la sua spada
alla testa della sua cavalleria, la via ai successi, a cominciare dal 18
Brumaio (9 Novembre)1799 irrompendo coi suoi sessanta granatieri a cavallo sul
Direttorio, rovesciandolo e facendo diventare Napoleone Primo Console a vita e,
via via con le conquiste dall’Europa all’Egitto, Imperatore.
Perciò, egli è creditore, non debitore, da Francia e da
Napoleone, gli rammenta una voce
femminile, perché quel regno che
Napoleone gli ha donato lo aveva
meritato, non cento ma mille volte sui
campi di battaglia, come coralmente ricordano i canti militareschi dei suoi
soldati che, similmente a «quei forti» dell’ “Adelchi”, «cantando giulive
canzoni di guerra» e cavalcando «sui bruni corsieri / (…) di terra passarono in
terra», «dall’ Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno / (…) da Scilla al
Tanai»[3],
oltre al già trionfale successo nella battaglia delle Piramidi il 21 luglio
1798 contro i Turchi e la cavalleria dei Mamelucchi comandati da Murad bey,
strategicamente accerchiati e sconfitti dai fidi soldati e dalla cavalleria del
Murat.
Le ragioni del
suo risentimento vanno contro il grande Cognato, l’Austria e anche la storia:
per l’obbedienza e il fascino che riscuoteva e suscitava verso i suoi soldati;
per il tradito patto di reintegro sul trono di Napoli; per la omissione, sulle
pagine storiche, del suo nome tra quelli dei protagonisti di quella storia,
giacché questa solo «ei nomò», Napoleone, e non anche lui, Murat, perché egli si sente di far parte della storia e non ammette amnesie. Anche il Manzoni gli fa torto perché, commemorando nel
“Cinque maggio” la morte del Bonaparte, celebrandone le imprese, le conquiste
«dall’uno all’altro mar», come strumento della volontà e della potenza divina per
quella «vasta orma» stampata, nega al «signor» Murat - inneggiato nel “Proclama
di Rimini” come il «raggio / di nostra speme» e, per la conseguente battaglia
di Tolentino contro l’Austria il 3 maggio 1815, l’alba del Risorgimento verso
l’unità e l’indipendenza dell’Italia - qualsiasi debito di gratitudine e
riconoscenza per aver (come confesserà al canonico Masdea entro il castello di
Pizzo) consumato metà della sua vita, dal 24° al 48° anno di età, non per inseguire la (sua) gloria, ubriacatura che rende l’uomo schiavo anche della vanità, ma
per la gloria di quelle bandiere non più sue,
della Francia; e per aver inseguito un
sogno (…) di essere re davvero,
creduto che il popolo lo attendesse,
ricordando quanto egli si è adoperato,
in solo sette anni di regno, per farlo uscire
dalla palude dell’ignoranza e dello sfruttamento: un sogno veramente nobile. Questo avrebbe dovuto riconoscere
e ricordare, il cattolico Manzoni, di colui che aveva dichiarato “io intendo morire
da cristiano cattolico”, in prosieguo e conclusione di quel Proclama del 30
marzo 1815.
Un’altra voce, durante quei soliloqui, tormenta la sua coscienza: quella del
rimorso per l’errore di aver dato ascolto al cuore più che al cervello,
al richiamo della Francia e di Napoleone, per soccorrerlo dopo la fuga
dall’Elba, quasi dovesse sdebitarsi ( e di che?), anzicché restare a Napoli, a
protezione del suo regno, obbedendo ai suoi doveri di re verso i suoi sudditi,
che ora lo stavano attendendo sull’altra sponda del Tirreno.
Ma, di quella terra sull’altra sponda,
verso cui è pronto a dirigersi, ombre oscure nascondevano segni di ostilità: il
volo basso dei gabbiani e il brontolio lugubre della risacca del mare in
tempesta non sono presagi di fortuna, tutt’altro, sono presagi di sventura;
lo sente e lo esorta “ Non partite, buon Re!” la Paloma , che gli compare la
sera del 28 settembre 1815,
in quella taverna alla periferia di Aiaccio, come una bella fanciulla dagli occhi di fuoco, ma
dai lineamenti dolci che al Murat ricordano quelli di Letizia, la sua
primogenita che l’attendeva a Trieste col resto della sua famiglia.
Fino a quel
momento la fanciulla aveva creduto che i Re esistessero solo nelle fiabe,
irraggiungibili; ma quello che ora le era innanzi è davvero un Re, gli dice
Paloma, giovane zingara dai grandi occhi
profondi: è l’unico personaggio poeticamente partorito dalla fantasiosa
mente di Giampiero Nisticò, quale simbolo della personificazione del binomio
profezia-superstizione. Gli compare come fanciulla-zingara, dapprima; come
giovane donna, sempre bella, dopo, più avanti, odiata-amata, partecipe della
creazione, che gli è stata sempre vicina, invisibile e che ci accompagna per
mano sino alla fine del nostro tempo.
E al Murat, che
spera di rivedere quella fanciulla, che ha vissuto nella realtà e non nel sogno
momenti accanto ad un re, assicura che si rivedranno e la riconoscerà subito. Rifiutando
con terrore le monete d’oro che vorrebbe regalarle, perché confermerebbero
quella profezia Il vostro destino sta scritto in un pugno di sale, Pamela fugge via, singhiozzando.
Un
pugno di sale – mai sentito una
profezia più sciocca – leggende e
profezie sono per me un vangelo - attenti
al sale: sul dialogo tra Couraud e Barbarà su profezia e superstizione,
interviene il Murat per tranquillizzarli, ché l’invito della zingara era
rivolto soltanto a lui e dunque: Signori,
via! Vogliamo giocare il destino ai dadi truccati dalla paura?
La paura è sorella
dell’ingratitudine, definisce il capitano Starace dialogando col Murat nel
Castello di Pizzo; ed è questo il motivo per il quale i cittadini di Pizzo
fanno a gara per testimoniare contro di lui mediante menzogne.
Dunque, saranno
le menzogne le prove testimoniali per quella condanna scritta col sangue della paura.
Paura sottolineata dal saggio consiglio d’una popolana al proprio marito: accontentati del Re che hai perché i Re cambiano, e se non cambi con loro, la
perdi davvero la testa. Era una paura condita con un pugno di sale,
mostrato da una strillante popolana contro Murat, tra quel popolo (…) bestia più ingrata
ed ingorda che ci venderebbe come un
pugno di sale, anche noi: è il
giudizio del Trentacapilli esternato al suo sergente Muzio; ed entrambi, fregandosi le mani con soddisfazione,
vedono vantaggi da quella grande giornata;
e con una battuta, che nasconde verità ignorate e inedite, chiudono il secondo
atto: non possiamo pretendere paga da
soldato e vizi da generale; evidentemente allusivo a quel generale francese
col vizio della truffa, come quella consumata in danno d’un commerciante d’olio
di Pizzo, causa d’una vendetta trasversale e di odio antifrancese, che ebbero
il Murat come capro espiatorio, assediato col suo seguito nel giardino della
Parrera, ove attendeva quel cavallo promessogli da un suo ex ufficiale
d’armata, il capitano Devoux, per poter proseguire verso Monteleone; venendone
però impedito da quella schiera di venti persone armate e adunate dal Pellegrino,
figlio del truffato, assieme ad una folla inferocita tacciata quale belva ingrata, ingorda proprio da quell’
uffiziale ( che ) animava il popolo alla rivolta contro Lui,
il Murat: era proprio il compaesano
Gregorio Trentacapilli, capitano di Gendarmeria, reduce dalla Sicilia, di
transito a Pizzo in quanto destinato a Cosenza. Untuoso e profittatore, il
Trentacapilli, agitatore di popolo, presuntuoso e ipocrita, che al Murat
comunica, dopo il verdetto della Commissione Militare, che nella sua immensa benevolenza, il Sovrano Ferdinando onora i gradi militari del Murat con il privilegio di affidare a lui,
Trentacapilli, il comando del picchetto
di esecuzione, incarico che gli dispiace.
Ma, Murat, con tranquilla e pungente ironia gli replica: perché vi dispiace? (…) potreste passare alla storia per questa
occasione che il destino vi offre su un piatto d’argento (…) Non avete colpa, così come non avete merito
in questa vicenda. Murat gli impedirà quel privilegio, ottenendo di comandare e ordinare egli medesimo, con la
propria voce, al plotone l’esecuzione.
Con stizza,
il canonico Masdea apostrofa il popolo di ipocrisia, vedendolo piangere a singhiozzi, all’uscita dalla
chiesa Matrice di San Giorgio otto giorni dopo aver inseguito, furibondo, il Murat; popolo ingrato e ingordo, balordo ed
ignorante.
Il dramma di Gioacchino Murat, come
concepito dal Nisticò, ricorda la figura d’un manzoniano drammatico uomo
d’arme, dal cuore corazzato, ardito e vittorioso, Goffredo di Buglione, conte
di Carmagnola: come lui il Murat, di fronte alla perfidia umana, ricusando un
tribunale di uomini vili e indegni, si appella al tribunale della storia.
Entrambi gli
eroi-guerrieri, come hanno saputo «guardar in viso la morte», così sanno andare
incontro ad essa perché «non l’hanno / inventata gli uomini la morte», ma, «dal cielo / essa viene» ove «c’è un Padre»
in cui possono confidare la figlia «tenero fior» Matilde e la sposa Antonietta
«dolente madre» che, quando «ormai l’ora è vicina / e convien lasciarsi», le
consola e ne è consolato.[4]
Diversa
consolazione il destino riserva al Murat che, nel l’ora fatale arrivata, non gli rimane che il conforto della
religione col canonico Masdea, al quale dichiara la volontà di morire
“cristiano cattolico”. Quindi, ripercorrendo tutta la sua vita, in nome di colui, Re dei re, che perdonò tutti
…uomo … re, egli, Gioacchino Murat, perdona i suoi nemici (…) come uomo, ma come
re non può. Prega il confessore di far pervenire la lettera col suo
doloroso Addio alla cara moglie e ai quattro figli (che) non avranno più il padre e
per i quali invoca la benedizione di Dio.
La fortezza del
suo cuore s’intenerisce nel momento in cui viene sopraffatto da profonda
commozione, per il maggior dolore che
prova in questo momento estremo di morire
lontano dai miei figli: parole di penoso rimpianto che sembrano evocare il
lamento della dantesca Francesca da Rimini «Nessun maggior dolore (…) del tempo
(…) ne la miseria».[5]
Ciò scrive,
mentre Pizzo veniva posto in uno «stato d’assedio», quasi di «terrore», con
truppa pattugliante il paese, «cannoni e cavalleria», numerosi «ufficiali di
diversi corpi d’armata»[6]
squadrati attorno alla piazza e al castello in cui la Commissione Militare ,
riunita dalle «ore dieci antimeridiane del giorno tredici di questo mese di
ottobre milleottocentoquindici nel Castello di Pizzo per giudicare l’arrestato
generale francese Gioacchino Murat, qual pubblico nemico (…) all’unanimità lo
condanna alla pena di morte», sentenza emessa «alle ore 5 pomeridiane»[7] di
quello stesso giorno, venerdì 13 ottobre 1815.
Esprimendo a padre Masdea il dolore
immenso di non poterli riabbracciare,
moglie e figli, e il rimorso di non aver
dedicato il più della vita a loro, ansiosamente lo prega di promettergli di
fare restituire il suo corpo ai figli e alla moglie.
Nonostante la promessa fatta all’ infelice in punto di morte e implorata al Trentacapilli, il perfido
capitano ordinerà di affidare la sconnessa bara con il corpo del Murat all’ossario della chiesa di San Giorgio,
ivi confondendosi le sue ossa con quelle di ignoti defunti tra «ossa
indistinte», come quelle del Parini sperdute fra «ossa / col mozzo capo (che)
il ladro / lasciò sul patibolo».[8]
Opportunità estetico-lirica suggerisce
posporre, come chiusa di questo dramma storico, psico-introspettivo, il dialogo
tra due protagonisti che personificano l’intreccio tra realtà e fantasia,
storia e invenzione, volontà umana e fatalità: Paloma e Gioacchino, nell’ultimo
incontro, liricamente drammatico.
Pindaricamente
volando sulle ali del tempo, da
Aiaccio a Pizzo, Paloma appare entro le mura del castello al Murat, nelle
sembianze di donna di bell’aspetto che, per i neri veli che la ricoprono, pur
senza la falce, riconosce come colei
che, alla fine del tempo di ognuno, si presenta a cogliere, particolarmente in
questo caso, il suo trionfo contro chi l’aveva sempre sfidata, tante volte sui campi di battaglia.
Nessun trionfo vuole cogliere la bella
signora, che lascia cadere i neri veli per farsi riconoscere: è Paloma, come
Murat stesso riconosce, la ragazza corsa, che non l’aveva mai
abbandonato – dice lei – sempre al suo fianco, anche durante la tempesta della infelice traversata marina. Gli
ricorda che si sarebbero rivisti, gli rammenta la profezia. Gli dice ancora che, pur volendo, ella non ha il potere di modificare il destino,
ma solo quello di volare sulle ali del
tempo: ella, Morte, è sorella del Tempo, a lui s’accompagna, come Eros e Thanatos.
La vita è sofferenza e, per essa sin dalla nascita si rischia la morte,
perché «è rischio di morte il nascimento» rammenta il leopardiano “Pastore
errante dell’Asia”.
Alla Paloma, che gli dice Quando sarai oltre i confini del tempo,
potrai vedere se i tuoi sogni avrebbero potuto realizzarsi, Murat replica
che I sogni non hanno un limite e neppure
tu, Morte, puoi cancellarli.
Ma, conclude
Paloma: Con i sogni tu hai giocato la tua
partita nella scacchiera della vita, e hai perso…Questo è il mio scacco. Scacco
al re.
A.R. Carrabba
[1] ) E. Capialbi, Murat al Pizzo. Fine di un Re, Passafaro, Monteleone 1894.
[2] ) A.R. Carrabba, La politica economica e sociale di G. Murat nel Regno di Napoli,
Settecolori, Vibo Valentia 1991.
[3] ) A. Manzoni, Adelchi, coro atto 3°; Cinque maggio, vv. 25-29, 49.
[4] A. Manzoni, Il Conte di
Carmagnola, atto V, scene I e V.
[5] Dante, Inferno, V, vv.
121-123.
[6] Capialbi, op. cit., pp.
60, 64, 96-100.
[7] L. Gallois, Istoria di G.
Murat o il Reame di Napoli, 1800-1815, Bonamini, Losanna 1849, p. 199.
[8] U. Foscolo, Dei Sepolcri,
vv. 75-77.
domenica 26 gennaio 2014
20140126.Pizzo.Riproduzione virtuale in tre dimensioni del castello
20140126.Pizzo.Maria Cristina la "reginella santa" beatificata a Napoli
domenica 19 gennaio 2014
20140119 Programma Delegazione Centro Italia Souvenir Napoleonien
Le Souvenir Napoléonien
Société Francaise d’Histoire Napoléonienne
Delegazione Roma- Italia
Centrale
Via Novara, 43 –
00198 Roma
Tel.-fax:
06/8845671
e.mail: massimo.carduccic8dl@alice.it
Roma,
6 gennaio 2014
Care amiche e cari amici,
ecco il
programma degli eventi per la prima metà dell’anno 2014 come sempre attuati in
collaborazione con il Centro Romano di Studi Napoleonici
Sabato 25
gennaio 2014 ore 10,00
Visita
guidata di Palazzo Altemps
Piazza Sant’Apollinare, 46 – Roma. Bus: 30-70-81-87-422-628 fermata Senato
Il Palazzo deve il suo nome al
cardinale proveniente dall’Alto Tirolo, Marco Sittico Altemps, che lo acquistò
nel 1568 eleggendolo a sua dimora romana. Considerato
tra i più importanti palazzi della Roma rinascimentale, è sede del Museo
Nazionale Romano ed ospita le collezioni Boncompagni-Ludovisi, Altemps, del
Drago, Mattei, Brancaccio e la raccolta Egizia
Il gruppo sarà composto da
un massimo di 20 visitatori formato secondo l’ordine di prenotazione che dovrà
pervenire alla nostra segreteria entro il 18 gennaio 2014. Costo del biglietto valido 3 giorni per 4 siti
(Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Crypta Balbi, Terme di Diocleziano): intero €
10,00; 18-24 anni € 7,50; oltre 65 anni gratuito. È previsto un contributo di
€ 5,00 per la visita guidata. (ne sono esclusi gli iscritti al Souvenir
Napoleonien).
Sabato 15 febbraio 2014 ore 10,00
Visita guidata
della Crypta Balbi
Via delle Botteghe Oscure, 31 – Roma. Bus: 40-64-70
fermata Argentina
Visiteremo un isolato urbano della Roma antica nel centro della Roma moderna: la Crypta Balbi. Si tratta di un vasto
portico, annesso al teatro che Lucio
Cornelio Balbo eresse nel 13 a .C.,
e una serie di isolati antichi i cui edifici sono in parte visitabili. Il
percorso museale si articola all’interno dei diversi edifici succedutisi nelle
varie fasi storiche, e illustra la storia del complesso dall’antichità al XX
secolo: dalle costruzioni di Balbo, alla ruralizzazione del paesaggio urbano
nel V secolo; dalla costruzione delle chiese e delle case medievali nell’area,
all’edificio del Conservatorio di Santa Caterina della Rosa che, tra la metà
del XVI ai primi decenni del XVII secolo occupa gran parte dell’area. Il gruppo
sarà composto da un massimo di 20 visitatori formato secondo l’ordine di
prenotazione che dovrà pervenire alla nostra segreteria entro il 10 febbraio
2014.
Costo del biglietto valido 3 giorni per 4 siti
(Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Crypta Balbi, Terme di Diocleziano): intero
€ 10,00; 18-24 anni € 7,50; oltre 65 anni gratuito.
È previsto un contributo di euro 5,00 per la visita
guidata (ne sono esclusi gli iscritti al Souvenir Napoléonien).
Sabato 22 marzo 2014 Ore 10,00
Visita guidata di Palazzo
Doria Panphili
Via del Corso, 305 – Roma. Bus: 40-46-70 fermata P.zza Venezia
Il superbo palazzo Doria
Panphili, le cui parti più antiche risalgono al 1435, ospita la famosa
Galleria con oltre 400 opere tra le quali
il ritratto di papa Innocenzo X di Velasquez, e opere di Tiziano, Lorenzo
Lotto, Caravaggio, Carracci, Guercino, Brueghel il vecchio e Parmigianino. La fortuna dei Pamphilj, originari di Gubbio, si lega
al papa Innocenzo X (1644-1655), al secolo Giovan Battista Panphilj. La
disponibilità economica della cognata, Olimpia Maidalchini (1591-1657), gli
permise di intraprendere una brillante carriera ecclesiastica che lo portò al
soglio pontificio nel 1644. Innocenzo X, nel rispetto della tradizione
nepotistica dei pontefici rinascimentali, nominò cardinal nipote Camillo
(1622-1666), primogenito del fratello Panphilio e della ricca cognata (1644).
Il palazzo venne adibito a
residenza ufficiale del governatore militare di Roma, gen. Sextius Miollis dal
1809 al 1814 nel periodo dell’unione degli Stati Romani all’Impero Francese.
Usufruiremo del
biglietto unico di ingresso riservato ai gruppi di € 7,50 a persona.
Il gruppo sarà composto da un massimo di 20 visitatori formato secondo
l’ordine di prenotazione che dovrà pervenire alla nostra segreteria entro il 15
marzo 2014. È previsto un contributo di
€ 5,00 per la visita guidata. (ne sono esclusi gli iscritti al Souvenir
Napoleonien).
Domenica 6
aprile 2014, ore 10,00 Museo Napoleonico
Piazza di Ponte Umberto I, 1 – Roma. Bus:
70-87-492 fermata Zanardelli
L’eco delle Battaglie. Concerto
di Musica da Camera e Recital
La
manifestazione è stata resa possibile dal generoso contributo del
Palazzetto Bru Zane. Centre de musique romantique française.
Programma
Daniel Steibelt : Grande
sonate in mi bemolle maggiore
Louis-Emmanuel
Jadin : Bataille d’Iéna
Jean-Frédéric
Le Mière de Corvey : Bataille d’Austerlitz
Ignace
Moscheles : Grandes Variations sur
la chute de Paris
Interprete : Daniel Propper
pianoforte
Vedi presentazione allegata
Sabato 7 giugno 2014 Visita guidata del Museo Canonica e di Villa
Borghese
Viale Pietro Canonica (Piazza di
Siena) 2 - Roma
Appuntamento alle ore 16,00 in Piazzale Flaminio
sotto il portale di ingresso di Villa Borghese. Metro A; Bus: 89-490-495; Tram
2; per tutti fermata Flaminio.
Traverseremo a piedi la Villa
Borghese per raggiungere il Museo distante 1 Km . circa.
In caso di pioggia c’è la possibilità di raggiungere il museo con bus
89-490 fermata Hugo, due fermate dopo Piazzale Flaminio,.
Proprietà dei Borghese dal 1580
la villa venne ampliata e abbellita dal cardinale Scipione Borghese che vi
costruì il Casino Nobile (attuale Galleria Borghese). Dopo il suo matrimonio
con il principe Camillo Borghese, Paolina Bonaparte era solita passeggiare
nella villa che raggiungeva direttamente in carrozza dalla sua residenza di
Villa Bonaparte a Porta Pia, oggi sede dell’ Ambasciata di Francia presso la
Santa Sede. Nel 1901 la villa venne acquistata dallo Stato Italiano che nel 1903
la cedette al Comune di Roma.
Il Museo Pietro Canonica costituisce nella sua
integrità, un importante testimonianza
di casa-museo di artista. Ammireremo principalmente le opere di
Pietro Canonica: marmi, bronzi, e modelli originali, fondamentali nel campo
della scultura italiana del XX secolo. Oltre al normale percorso espositivo
lungo le sette sale al piano terra, seguiremo un percorso più “intimo” e
privato attraverso l’atelier e, al primo piano, l’appartamento privato
dell’artista e colto collezionista. Il
gruppo sarà composto da un massimo di 20 visitatori formato secondo l’ordine di
prenotazione che dovrà pervenire alla nostra segreteria entro il 30 maggio
2014. Costo del biglietto: intero € 5,00; 18-24 anni € 4,00;
oltre 65 anni gratuito. È previsto un contributo di euro 5,00 per la
visita guidata (ne sono esclusi gli iscritti al Souvenir Napoléonien).
Il costo dei biglietti di ingresso nei musei e ad
altri siti a pagamento sono riferiti alle quotazioni odierne.
Un cordiale saluto
Massimo Carducci
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